Parole e foto di Bruno Ferraro
Brutte notizie, ho iniziato a mordermi di nuovo le unghie e questo non va per nulla d’accordo con il mio corredo di completi da ciclismo in lycra. Certo, non mi posso biasimare per questo vizietto, il periodo non è sicuramente dei migliori ma mi ritengo comunque fortunato per essere sempre riuscito ad uscire in bici. Ultimamente però le mie pedalate si sono fatte più riflessive, lasciando da parte i watt e facendo spazio ad un oceano di pensieri, idee e ragionamenti. Uno di questi ultimi per esempio è arrivato l’altra mattina pedalando tra i colli Asolani. Pensavo al fatto che ho sempre usato la bici come mezzo per evadere dalla quotidianità mentre in questo periodo, spesso, pedalare mi riporta alla realtà dei fatti: le innumerevoli restrizioni, le poche possibilità di movimento e l’overdose di tempo libero. In poche parole, sempre il solito giro.
Maledetta primavera, ci vuole ancora tanto? Maledetto virus, perché non cessi di esistere?
Da queste parti l’inverno non è malaccio, ma non del tutto adatto all’attività ciclistica. Io abito a Bassano del Grappa, ai piedi delle Prealpi Venete, dove tra un capannone e l’altro iniziano tra le più belle salite della regione.
Da dicembre a marzo mi trovo spesso in preda al dilemma di non riuscire a decidere che giro fare, visto che le opzioni sono molteplici ma presentano tutte delle problematiche. Vallate in ombra e controvento, massicci montuosi che vanno ampiamente sopra i 1000 metri di altitudine, mangia e bevi tra colline ghiacciate e i drittoni della Pianura Padana.
Di solito prediligo la montagna. La pace che si trova lassù è imparagonabile, ma di sicuro questo freddo non facilita la scelta soprattutto per come si preannuncia la discesa.
Questo inverno verrà sicuramente ricordato come il periodo delle abbondanti nevicate ma delle scarse sciate. Ogni volta che guardo a nord, verso il Grappa, rimango affascinato nel vederlo coperto di bianco e puntualmente mi passa per la testa l’idea di salirci.
Oggi è un giorno di quelli, un sabato mattina di febbraio con un cielo limpido e senza nuvole. La temperatura è talmente bassa che non c’è umidità nell’aria e le gocce di condensa solidificate sul vetro di casa brillano, riflettendo i raggi di sole mentre apro la finestra. Eccolo lì il Grappa, irradiato dalla luce del mattino, così nitido da poter vedere la cima con il suo ossario. Il suo richiamo è forte e tutto sommato la giornata sembra perfetta. Decido di prendere la gravel, riempire la borsa telaio con vestiti di ricambio e prepararmi a partire senza troppi tentennamenti. Finalmente a zonzo! Come al solito l’aria è fredda ma il sole è piacevolmente tiepido: si preannuncia una salita inizialmente calda quindi apro la giacca per evitare un’eccessiva sudorazione. Ed eccomi qui, dopo nemmeno 15 minuti, a superare il primo dei vari tornanti della strada Cadorna, che dopo 25 chilometri conduce fino in cima al Grappa.
Questa strada è l’unica sufficientemente pulita e mantenuta durante l’inverno, le altre vie seppur più spettacolari sono spesso impraticabili in caso di nevicate. Visto che sono in gravel, decido di attuare una variazione sul percorso. Grazie ai Cinturato Mixed ben tassellati allungo per una località chiamata “Colli Alti”, che si affaccia verso ovest sulla Valbrenta e che a nord si allunga in un sentiero piuttosto semplice ma molto bello e panoramico. Siamo oltre i 1000 metri di altitudine e di neve ce n’è già in abbondanza. Fortunatamente alcuni mezzi, passati i giorni precedenti hanno battuto più di una traccia appiattendo la neve. Le ruote scorrono bene facendomi pedalare senza rallentare l’andatura ma soprattutto senza rischiare di dover camminare per tutta la deviazione. Proseguo verso il col Fenilon e poi l’alpe Madre non riuscendo a smettere di fotografare la spettacolare scena in cui mi trovo. Ritorno su asfalto per poi scendere con cautela verso la seconda metà del percorso che porta da Ponte San Lorenzo a cima Grappa.
Salendo di quota lo scenario si fa’ incredibile, gli alpeggi e le varie malghe sono coperti da quasi un metro di neve, lì attorno si riescono a scorgere le tracce di qualche ciaspolata avvenuta poche ore prima. Alcuni ragazzi hanno disegnato dozzine di linee con lo snowboard su tutto il pendio a sud del Costone: è il paradiso del freeride ed è incredibilmente vicino a casa nostra.
Gli ultimi 5 chilometri di salita sono i più spettacolari, varia spesso l’orientamento della strada e quindi lo scenario cambia man mano che si sale. Da un lato si continua a scorgere la pianura e se si guarda bene si possono notare i riflessi del sole sulla laguna di Venezia, dall’altro lato i pendii si fanno dolci e preannunciano il culmine della salita. Si oltrepassano vari monumenti e memoriali a ricordo delle guerre, qui sono state combattute terribili battaglie, a pensarci stento a credere che qualcuno abbia potuto resistere per settimane con condizioni climatiche simili. Sorpassata l’ultima vera e propria curva si comincia a vedere il rifugio Bassano e al suo fianco l’ossario ai caduti della prima guerra mondiale, che si erge su tutta la sommità del Grappa. Finalmente in cima! Da qui riesco a scorgere anche il versante nord, dove in lontananza si incorniciano Lagorai e Dolomiti. Il termometro segna 6 gradi sotto zero ma dentro al rifugio l’atmosfera è calda e accogliente e io mi abbandono ad un bicchiere di vin brulè accompagnato da una fetta di strudel di mele, bottino decisamente meritato dopo i quasi 2000 metri di dislivello.