Testo di Bruno Ferraro, foto di Lucia Mottin

Conosci bene quella sensazione liberatoria, il passaggio tra asfalto e sterrato. Il momento nel quale aumenti la velocità prima di tuffarti in quella strada bianca, segno di demarcazione tra il quotidiano e l’avventura. Disegni la tua linea, in quello che è terreno vergine per il ciclista. Leggi quello che la ghiaia descrive, fidandoti e lasciandoti trasportare dalle sue irregolarità. Spingere sui pedali non è mai stato così bello, è un piacere che si propaga insieme alle vibrazioni provocate dalla terra dura, trama piatta dei sentieri meno battuti nel bosco. Quando  ti fermi per prendere fiato non è il clacson dell’ennesimo SUV incazzato che ti distrae ma il suono di un ruscello che scorre lentamente fino a valle.

Amiamo il gravel perché non ha pretese. Rallentare per scattare una foto non ci manda in paranoia per aver sciupato la media oraria, affrontiamo la salita per godere delle sue caratteristiche senza andare fuori soglia per tentare l’ennesimo record personale. Non è una disciplina ma un’attitudine che non va di certo d’accordo con chi è assolutista, purista o minimalista. È una via di mezzo dove possiamo decidere da che parte sbilanciarci, senza imbarazzo. E se non sei “pro” va bene comunque, tanto dopo andiamo a farci un panino con birra media e ripartiamo lenti, senza strafare.

Ti ci affezioni alla bici gravel, anche se non potrà mai essere tirata a lucido come la full carbon da corsa che tieni immacolata in studio. Con sé porta i segni di tutte le scorribande fatte insieme agli amici o in solitaria, ricordi indelebili che ad ogni occhiata ritornano vivi come se fossero accaduti ieri. Ci monti degli Hard Terrain da 40 belli scorrevoli e se hai gamba ti capita anche di stare in scia a qualche stradista, o magari superarlo, per poi inforcare il primo sentiero e ritornare ad assaporare l’incertezza di percorrere una strada mai vista prima. Questa è forse la cosa che amiamo di più dei percorsi in fuoristrada, il fatto che ti permettono di riscoprire il territorio in cui hai sempre pedalato. Colleghi i puntini scoprendo finalmente dove porta quel sentiero che hai incrociato per anni senza mai aver avuto la possibilità di conoscerlo. Si apre un mondo di infinite possibilità dove il limite non è la superficie dove pedaliamo ma solo la nostra voglia di cimentarsi in qualcosa di alternativo.

E se qualcuno ci venisse a domandare: “ma questo percorso è gravel?” la risposta sarebbe perlopiù sempre la stessa: “si, certo!”. Perché il gravel non è una categoria e tanto meno non delinea un solo tipo di percorso. È il post punk del ciclismo con una vena ribelle.

Chi preferisce la ghiaia fine su terra battuta e dritta, può anche farsela con un bel Cinturato 28 da strada, magari tubeless. Ad essere onesti può farla con quello che vuole, ciò che serve veramente è la voglia di pedalare.

Noi siamo quelli che che caricano la bici in spalla se il fondo è troppo scassato, stringiamo le mani sulla presa bassa se c’è un guado da attraversare e spingiamo in punta sui pedali se c’è una mulattiera al 18 percento lì davanti.

Usiamo la bici gravel come mezzo per giri da più tappe, ridisegnando l’idea del ciclo-viaggiatore. Le lunghe distanze non pesano più così tanto.

La strada scorre bene sotto le ruote, percorriamo tappe da 150 o più chilometri al giorno protratte per una settimana, senza fastidio.

Ci piace fare le ore piccole per prepararci al meglio quando abbiamo un bikepacking in vista. Infiliamo nelle borse tutto quello che indosseremo da lì a 7 giorni e partiamo all’alba, dopo aver dormito 3 ore. Si parte senza nemmeno decidere bene i vari dettagli del percorso e anche se siamo un po’ titubanti, appena agganciamo la tacchetta al pedale, tutti i pensieri scompaiono in un attimo. Se vediamo il mare possiamo tentare di andargli incontro pedalando in spiaggia, anche se ogni tanto ci si sbilancia sprofondando nella sabbia. In montagna invece raggiungiamo rifugi o malghe anche se ci si arriva solo da strade militari o forestali.

Si può anche pensare che tutto questo sia una moda passeggera e che un giorno scoppierà come una bolla di sapone ma sicuramente ad oggi è sulla bocca di tutti, ciclisti e non. Per me questo significa solo una cosa, ovvero che il gravel è già cult e che sarà sempre più presente come stile o come semplice approccio al ciclismo.

Recommended Posts